E’ facile parlare di speranza quando gli occhi sono ancora pieni dell’incanto delle immagini di Salgado (in mostra a Forlì in questi giorni). Nel suo percorso personale, e professionale, il grande fotografo brasiliano è arrivato a celebrare la bellezza sublime della Terra e la speranza in un futuro nuovo, solo dopo aver indagato e denunciato alcuni degli aspetti più cupi della civiltà contemporanea. Persa la fiducia nelle scelte dell’uomo e nel futuro dell’umanità stessa, ha riattivato in sé il dono della speranza grazie a una Natura che l’ha sorpreso, l’ha scosso profondamente e gli ha insegnato che c’è sempre la possibilità di ricominciare, rinascere e rigenerarsi. Come la “sua” terra, la sua fazenda resa sterile dalla deforestazione, in pochi anni tornata allo splendore tropicale originario grazie all’impegno costante della sua famiglia e delle istituzioni, che hanno saputo opporsi all’idea di un degrado ambientale irreversibile.
Nel momento in cui la speranza in un futuro rigenerato è entrata nel suo orizzonte interiore, Salgado ha cominciato a cercarla ovunque anche fuori nella natura, per 8 anni. E l’ha trovata. Ci ha dimostrato con le sue esplorazioni fotografiche che quasi la metà del nostro pianeta (il 46 %) è di una bellezza e di una integrità da togliere il fiato.
Il passo decisivo di ogni atto di ri-creazione è il primo: il recupero della speranza. Il secondo è la consapevolezza che il bello, l’intatto, il rinnovamento continuo… ci sono già, nella Terra come nell’uomo. Bisogna solo decidere di vederlo, di esplorarlo e condividerlo. La speranza è un bisogno primario dell’essere umano, assieme alla sicurezza. Prende la forma del desiderio, aiuta a crescere, a volte può essere un dono ma una scelta lo è sempre. E’ come un orizzonte che si sceglie ogni giorno come meta e faro, e quello di Salgado è di una bellezza rara.
Tutt’altro orizzonte invece vedono gli abitanti e le persone in transito su un’arteria importante di Ravenna, trasformata (spero senza il consenso di chi ci governa) in una esposizione permanente del rifiuto della speranza. Nel raggio di qualche km, questa parte della città è letteralmente invasa da opere che celebrano la fine dell’uomo e del futuro. Che sia arte non c’è dubbio, il talento si vede. Ma che venga usato da un giovane artista per distruggere (anziché creare) fa male agli occhi e al cuore. La street art nasce come provocazione, esattamente come una certa percentuale dell’arte da sempre, e in particolare quella contemporanea da Duchamp in poi. Se però quella che abita nelle case, nei musei e perfino nelle chiese, la vedi/fruisci/subisci solo se hai voglia di farlo, nella street art il gioco della provocazione si fa più pesante, proprio perché ha come obiettivo primario quello di imporsi quotidianamente allo sguardo di tutti. Volenti o nolenti. Non sceglie sempre e solo espressioni di violenza sottile o pesante, a volte è lieve, sorniona, allegra e vitale, senza perderci nulla in irriverenza e denuncia sociale, anzi! La provocazione è un processo, dunque un movimento nel tempo e nello spazio che deve avere una motivazione (prima), un’espressione che provoca reazione (durante) e un esito, un’uscita/soluzione (dopo) che può essere positiva o meno. Per chi provoca e per chi la provocazione la subisce.
Quando però la provocazione sembra non aver fine e si rinnova di giorno in giorno in forme sempre più estreme, potrebbe voler dire questo: o il provocatore non si sente ascoltato e alza i toni affinché qualcuno finalmente lo ascolti (e se ne prenda cura). Oppure i destinatari della provocazione sono talmente assuefatti alla demolizione della speranza, della fiducia e del futuro che quella espressione di protesta, di disagio psichico compiaciuto di sé ed esibito, viene percepita come conferma quasi banale, come normale rappresentazione di una realtà, presente/futura e immodificabile, a cui non si deve neanche la pena di rispondere. Ho letto le interviste, ho studiato i siti in cui si parla del messaggio di questo artista, sono un poco dentro la materia per cui ho sperato di capire come ho fatto mille altre volte con successo con l’arte contemporanea che vuole smuovere dentro… Ma nulla da fare, il sentire (disagio) continua a prevalere sul piacere di capire e accettare. Non solo per la crudeltà ferruginosa delle immagini che ricoprono a breve distanza decine di cartelloni pubblicitari (alcuni grandi come case), per chilometri, ma anche per la quotidiana mancanza di rispetto verso coloro che pagano (e non poco) per l’affitto di quegli spazi; e per i loro messaggi che vengono immediatamente strappati per lasciar intravedere la firma e le forme di quell’orizzonte interiore apparentemente compiaciuto per la fine dell’uomo.
L’arte, soprattutto quella che si vanta di essere denuncia sociale, non può non sentire la responsabilità sociale dei suoi atti. Il giorno in cui ho visto l’artista mentre alla luce del sole strappava un manifesto e ritoccava una delle sue creature, e nel frattempo la signora che abita di fronte a quel “quadro” lo infamava esprimendo il suo Dissenso Emotivo, non ho osato pensare (per quello che posso aver imparato fino a qui sulla percezione e fruizione dell’arte), che cosa voglia dire convivere giorno dopo giorno con quelle immagini. Ho pensato a quelle famiglie che le subiscono tutto l’anno, ogni volta che escono di casa o vanno in giardino, ogni volta che guardano fuori dalla finestra per vedere se piove o c’è il sole. Ma l’unica cosa che so per certo, onestamente, è come mi sento io per nove mesi all’anno mentre percorro quelle strade male adornate, anche se solo per pochi minuti: sento salire dentro rabbia, paura e impotenza, perché nella vita ho bisogno di rispetto per me e per gli altri, di protezione dalla violenza altrui, e soprattutto ho bisogno di continuare a sperare in un futuro buono. Per questo chiedo a chi questo tipo di street art la fa (autori) e a chi la sostiene e la paga (istituzioni), di trovare insieme a quella piccolissima parte di cittadini che si sentono parte di un movimento spontaneo di Dissenso Emotivo (verso chi si accanisce contro la speranza), di trovare un modo onesto e rispettoso per dare a tutti la libertà di vedere l’orizzonte e immaginare il futuro che desiderano, secondo la propria coscienza.
Concludo ora tornando per un’ultima volta all’esperienza di Salgado, che invita tutti noi ad accogliere l’idea di un futuro all’insegna della rigenerazione, del rinnovamento e della ri-creazione. E a proposito di speranza… “spero” di poter presto essere grata a una città che sa rappresentare e proteggere tutti, che rispetta la libertà di espressione e di visione in ogni direzione, che riesce a unire il bianco e il nero in un unico, grande e rispettoso abbraccio.
Come fa la luna ogni notte sul mare.
Buona domenica
💙 Alba
La ricerca della Speranza di Salgado è un messaggio molto potente e proprio in questi anni se ne sente fortemente il bisogno!!!Bella la sua rappresentazione attraverso la fotografia che ci riporta alle bellezze “da togliere il fiato” presenti da sempre nel mondo!!! La bellezza e la speranza vanno coltivate!!!
Buona Domenica Alba!!!!