Il vuoto creativo

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In alcune fasi della vita capita a molti, se non a tutti, di evitare il più possibile il vuoto e il silenzio: nella creazione degli spazi personali come nella gestione del tempo. Quando riempiamo ogni più piccolo spazio del nostro orizzonte domestico con quadri, foto, specchi, libri, oggetti e arredi… (o con musiche, suoni, discorsi senza sosta), forse non siamo del tutto consapevoli che questo pieno, questa concentrazione di presenze attive, possono avere ripercussioni sul nostro stato fisico e psichico. Nel suo saggio Horror pleni (Castelvecchi, 2008)  il filosofo e critico d’arte Gillo Dorfles parla di colossale «inquinamento immaginifico» della nostra civiltà, un inquinamento prodotto da un eccesso di stimolazioni visive e auditive dovute alla continua pressione esercitata nelle nostre vite da giornali, filmati, segnaletica, scritte luminose e non, cartelloni pubblicitari e tanto altro. La perdita dell’intervallo e della pausa – fra un segno e l’altro, ma anche fra un’azione, una parola (o una cosa) e l’altra – nel lungo periodo porta assuefazione, mancanza di attenzione e perdita della capacità di cogliere la vera essenza degli oggetti materiali, delle persone e delle situazioni.

Troppe presenze, anche in casa, producono un eccesso di lavoro per l’emisfero sinistro del cervello – analitico, logico e razionale – che si occupa della raccolta, identificazione e archiviazione dei dati in entrata, a svantaggio dell’emisfero destro che governa il nostro lato intuitivo, olistico e sintetico: la parte di noi che ha immediato accesso alla fantasia, alla meraviglia, all’esperienza estetica. La fonte della nostra immaginazione creativa, in altre parole. Per una buona qualità della vita dovremmo cercare, almeno all’interno delle nostre case, di creare le condizioni fisiche affinché entrambi gli emisferi possano attivarsi in modo equilibrato. Secondo David Loye, psicosociologo statunitense, le persone più in equilibrio (in quel senso) raggiungono anche un rapporto migliore con la realtà oltre che un’intelligenza più completa. Che cosa possiamo fare in casa per bilanciare i due emisferi? Per stimolare allo stesso tempo intelligenza e intuizione, logica e fantasia, azione e contemplazione? Abbiamo tutti un grande bisogno di alternanza ed equilibrio fra vuoto e pieno.

Abbiamo bisogno di respiro, di pause… per la vista e per la mente: l’ideale sarebbe avere a disposizione un piccolo vano da adibire a vera e propria “stanza della creatività”, uno spazio neutro all’interno del quale dedicarci – senza alcun tipo di interferenze visive e auditive – alla riflessione e al rilassamento. In mancanza di questo, per raggiungere lo scopo ci basta anche solo un angolo, una comoda poltrona disposta di fronte a una finestra  che si apra su vegetazione o cielo aperto, oppure collocata davanti a un tratto di muro privo di segni, oggetti o qualsiasi altra cosa capace di indurre quei pensieri ripetitivi, distrazioni o associazioni spontanee di idee, che allontanano dallo stato di quiete interiore.

DSC_2400.JPGLo spazio, per sua natura, genera stati fisici e di coscienza diversi a seconda di come è “strutturato”: in riva al mare, di fronte al susseguirsi armonico e costante delle onde, senza nessun altro segno all’orizzonte che indirizzi il pensiero altrove, si produce un rallentamento della frequenza delle onde cerebrali e si sviluppa uno stato di coscienza simile a quello prodotto durante la pratica della meditazione, con rilassamento profondo, diminuzione della pressione arteriosa e del battito cardiaco. Lo stesso avviene all’interno di un bosco, quando lo sguardo vaga da un albero all’altro e poco dopo percepisce solo un insieme uniforme – simile al vuoto – che permette l’attivazione prevalente dell’emisfero destro del cervello. Al contrario uno spazio (pubblico o privato) pieno di segni, oggetti, stimoli, ricordi… avvia all’istante tutti quei processi mentali che servono a gestire le informazioni in entrata che giungono dalla percezione della realtà esterna. Ecco perché a molti di noi capita di “andare in confusione” dopo soli pochi minuti di permanenza nei centri delle città o nei grandi ipermercati: la quantità eccessiva di stimoli visivi, auditivi e olfattivi – che inonda tutto lo spazio – affatica velocemente le persone più sensibili.

Come comportarci, allora, nelle nostre case? Fra i due estremi rappresentati da una casa europea concepita e allestita come una Wunderkammer – la casa/museo o camera delle meraviglie settecentesca straripante di oggetti, simboli, ricordi e testimonianze di viaggio – e il minimalismo formale di una residenza giapponese, esiste una varietà infinita di sfumature. Ciascuno di noi definisce lo spazio abitativo sulla base dei propri valori di vita, delle proprie convinzioni: è così che si crea uno stile personale (indipendente dalle mode del momento) e si raggiunge il proprio equilibrio, nelle forme e nei contenuti. Non può esistere una struttura abitativa “ideale”, standard, valida per tutti. Quando la si propone (come fanno alcune grandi catene di distribuzione che operano nel settore), e quando la si assume senza mediazioni personali, significa che qualcosa nella relazione fra l’individuo e il suo spazio si è incrinato. Il dialogo profondo con l’ambiente circostante, l’ascolto delle proprie sensazioni fisiche ed emotive di fronte a forme, materiali e stili è stato sopraffatto da stimoli superficiali, ma potenti, indotti dall’esterno per indirizzare i gusti e per semplificare le vendite.

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Il vuoto, si diceva sopra, è necessario quanto il silenzio per attivare quella parte di noi che ha più facile accesso alla fantasia, all’intuizione, alla visione d’insieme, al pensiero laterale. Introdurlo nelle nostre vite, anche a piccole dosi, è un modo altamente efficace per prenderci cura del nostro benessere. Per vari motivi oggi costruiamo e viviamo in case sempre più piccole e l’allestimento di spazi vuoti o poco ingombri, da dedicare alla contemplazione o al rilassamento, non è così facile da creare. Un conto è poter delegare ad ambienti isolati e fuori dallo sguardo quotidiano (cantine, solai, mansarde o vani di servizio) il compito di custodire i prodotti e gli esiti della nostra storia personale, professionale e familiare; altra storia è avere a disposizione poche stanze e dover convivere fianco a fianco in uno spazio ristretto con tutto ciò che si accumula nel corso della vita. La contrazione degli spazi nelle abitazioni moderne, oltre che avere indubbie conseguenze sulla qualità della permanenza in casa e sulle modalità di condivisione degli spazi, costringe le persone a un diverso rapporto con le espressioni materiali del proprio passato.

Se non si lascia andare regolarmente qualcosa, mano a mano che la vita quotidiana accumula nuove tracce, presto le nostre case si trasformano in depositi debordanti di segni d’ogni tipo che rendono quasi impossibile quella presenza di vuoto così necessaria per il nostro benessere psicofisico. Come fare allora? Una soluzione ottimale, in caso di spazi ridotti, è data dall’utilizzo massiccio di armadi, librerie e contenitori vari – molto meglio se chiusi, non “a giorno” – possibilmente dipinti con colori tenui, neutri, e mimetizzati con le pareti. In questo modo tutto ciò che si desidera conservare non viene continuamente esposto alla vista costringendo la mente a un impegno continuo, anche se inconsapevole.

Prossimamente riprenderemo questo tema e parleremo approfonditamente delle modalità di conservazione e valorizzazione delle nostre storie personali, del nostro passato, attraverso la cura di ricordi, cose e case.

A prestissimo

💙 Alba


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