Ogni singola cosa realizzata dall’essere umano è nata da un pensiero, ha preso corpo grazie a una visione, a un sogno. Immaginare qualcosa che prima non c’era (materiale o immateriale) – e riuscire a tradurla in realtà – è la competenza creativa tipica, necessaria e primaria, di chi sa “sognare ad arte”. Un sogno a occhi aperti che non produce realizzazione è solo fantasticheria, fuga temporanea dai limiti e dalle sfide di una realtà che non soddisfa pienamente. Un sogno creativo invece ha sempre impatto sulla vita reale; fosse anche soltanto per la qualità dello stato d’animo prodotto dal suo avere spazio nelle nostre giornate. Un sogno creativo, come un pensiero, è in grado di dare vita a veri e propri mondi, a nuove esperienze di relazione ed espressione di sé, di ricerca e progresso personale.
Dall’arte alla politica, dalla filosofia alle scienze… non c’è ambito del sapere che per crescere non si affidi prima alla riflessione, al sogno o alla visione; ma anche aspetti più semplici del quotidiano sono enormemente influenzati dalla nostra capacità di sognare ad occhi aperti, di immaginare e sperimentare nuove direzioni e prospettive. Il sogno a occhi aperti, qui definito il sogno creativo, produce i migliori effetti in determinate condizioni fisiche ed è strettamente connesso alle modalità di percezione preferite dalle singole persone. Chi ha forte capacità immaginativa ragiona, medita e sogna, “per immagini”: il futuro che vuole creare, lo vede. Ne percepisce i colori, i contorni e le forme, ne osserva la creazione e lo svolgimento nella mente come fosse un film. Ma c’è anche chi, della cosa o situazione che vorrebbe manifestare, ne sente invece le emozioni e gli stati d’animo sottesi. C’è chi sogna meglio al buio, chi al mare o nei boschi, girando in auto senza meta o camminando in mezzo alla folla. Chi lo fa mangiando pane e cioccolata, chi scarabocchiando o guardando le stelle: ciascuno di noi ha la sua personalissima strategia ma, al di là delle preferenze individuali, ci sono alcuni accorgimenti pratici che possono migliorare in modo significativo la nostra capacità di sognare creativamente.
Musica o silenzio, per pensare meglio? Quale dei due favorisce la concentrazione, riduce le distrazioni, e permette di dedicarsi al meglio all’arte del costruire il domani, il nuovo? Preferenze o abitudini soggettive a parte, occorre tener presente due aspetti: la musica, di qualsiasi tipo essa sia, evoca sempre qualcosa. Sentimenti, ricordi, stati d’animo… che siano piacevoli o meno, poco importa. La nostra mente impiega tempo ed energie per riconoscere e catalogare quei sentimenti e quei ricordi, anche se il tutto avviene in modo impercettibile. Tempo ed energie molto preziose, che dirottate subito verso l’obiettivo, permettono di raggiungere velocemente quel luogo interiore “magico” (lo stato di flusso) in cui si perde totalmente la percezione di ciò che ci sta intorno e ci si immerge anima e corpo – in senso letterale – nel regno del possibile. E si vola.
Sì, anima e corpo. Studi recenti nel campo delle neuroscienze hanno dimostrato che chi compie in modo consapevole atti immaginativi e vi si immerge totalmente, produce nel proprio corpo una serie di modificazioni fisiologiche, misurabili, che sono esattamente uguali a quelle che verrebbero prodotte in una situazione reale analoga. Un esempio: un atleta che in stato di rilassamento venga guidato, o si indirizzi autonomamente, in un esperimento di visualizzazione e simulazione di gara in cui la componente emotiva sia alta – una competizione olimpionica, la prospettiva di raggiungere un nuovo record mondiale – registrerà a livello fisiologico gli stessi parametri che avrebbe avuto correndo realmente in carne ed ossa su un campo di gara: accelerazione del battito sanguigno, modificazione della pressione arteriosa, aggiustamenti nella secrezione degli ormoni che regolano le situazioni di stress psicofisico. Perché succede questo? Il nostro cervello, per natura, non distingue un’esperienza reale da una soltanto immaginata; e produce i medesimi effetti nel resto del corpo. L’atto del sognare ad occhi aperti, dunque, ha su di noi conseguenze fisiche oltre che emotive o razionali.
Ma torniamo ora alla questione se è preferibile il silenzio al sottofondo musicale durante la nostra pratica di riflessione creativa. E’ vero che la musica, come si diceva sopra, può distrarre riportando alla mente situazioni o emozioni del passato ad essa collegate, ma è anche noto che in alcune scuole primarie (statunitensi ed europee) si sia registrato un miglioramento significativo nella concentrazione degli allievi che ascoltavano musica classica durante le lezioni, o meglio, durante le attività di rielaborazione dei concetti appresi (disegno, composizione, ecc.); Mozart, in particolare, sembra abbia effetti sorprendenti sulle capacità di attenzione e apprendimento, negli adulti come nei bambini.
Ci sono ritmi, melodie e armonie che possono produrre differenti stati di coscienza. Lo sapevano, e lo sanno tuttora, i nativi americani che utilizzavano il suono cadenzato dei tamburi per entrare in uno stato di trance ipnotica e avere visioni. Lo stesso ritmo binario, ma con evidenti e diverse finalità, è stato spesso usato – non a caso – nelle parate e negli addestramenti militari degli stati totalitaristici per “spegnere” il pensiero individuale dei soldati. Paradossalmente nelle pratiche meditative orientali l’utilizzo del mantra (ripetizione sacra e rituale di un suono o di un nome) assolve lo stesso compito: spegnere il rumore disordinato dei pensieri. In questo caso, però, il fine consiste nel produrre stati di quiete mentale e giungere ad una connessione profonda con il divino. Stesso strumento, esiti totalmente differenti.
Nelle persone a forte modalità percettiva visiva o cinestesica la musica si trasforma velocemente in immagine, in danza o in movimento; nei cosiddetti “uditivi” le note (e le interazioni fra esse) sono percepite inconsapevolmente come parole e concetti, come rappresentazioni sonore della realtà. Dovremmo allora saper riconoscere innanzitutto le nostre modalità di percezione della realtà; e poi dovremmo imparare ad analizzare le nostre reazioni cognitive individuali all’ascolto dei diversi tipi di musica (miglioramento o peggioramento della capacità di focalizzazione, distrazione, accavallamento disordinato di pensieri, acutezza d’analisi e di sintesi). Con un poco di allenamento riusciremo così a capire se durante la nostra pratica di pensiero creativo sia più utile affidarci al silenzio o a uno specifico genere musicale.
Il silenzio può essere visto come un valido alleato, o meno, per la sua naturale proprietà di toglierci il riparo delle distrazioni esterne. Siamo oramai abituati all’inquinamento acustico, dentro e fuori casa: radio e tv sempre accese, fantasiose sonerie di cellulari mai spenti, giorno e notte, traffico cittadino, la pratica di diffondere musica ovunque, dai musei agli uffici pubblici, dai ristoranti ai negozi… L’esserci abituati, però, non ci affranca dagli effetti negativi che il rumore di fondo continuo produce nelle nostre cellule e nei nostri stati d’animo. Molta di quella che gli psicologi chiamano ansia sottile – non immediatamente riferibile a un evento o a un problema specifico – proviene da questa fatica per lo più inconsapevole nel dover gestire in entrata nel corpo una quantità impressionante di input sonori ogni minuto di ogni singolo giorno. Ci sono però suoni cadenzati in natura – la risacca delle onde, il fruscio degli alberi o delle sartie sulle barche mosse dal vento, lo scroscio continuo di un torrente – che possono indurre stati di rilassamento profondo in persone predisposte. Sono stati in cui diminuisce l’attività logica, analitica e razionale organizzata dall’emisfero sinistro del cervello a favore della nostra parte più intuitiva, sintetica, olistica e creativa: l’emisfero destro.
Dopo aver compreso la nostra modalità percettiva prevalente e scelto la cornice sonora più adatta alle nostre esigenze – musica o silenzio – abbiamo ancora alcuni accorgimenti tecnici da mettere in campo prima di dedicarci alla definizione e costruzione dei nostri sogni. In un post precedente dedicato al vuoto creativo abbiamo visto quanto esso sia necessario per attivare l’emisfero destro del nostro cervello e per avviare in modo efficace e veloce un processo di riflessione creativa: abbiamo parlato della necessità di creare momenti e luoghi di pausa, intervallo e respiro, non solo per la vista e per la mente, ma anche per gli altri sensi. Quando siamo impegnati nella costruzione di un progetto, nell’elaborazione di un’idea, entriamo in uno stato di flusso in cui tutte le risorse interiori, le facoltà cognitive e fisiche, sono focalizzate su un unico tema preciso.
Ogni più piccola interferenza dall’esterno – lo squillo del telefono, un familiare che chiede qualcosa, il campanello del forno o della porta – interrompe questo stato di concentrazione e flusso; alla ripresa del lavoro il corpo e la mente sono costretti a un impegno supplementare, per tornare al livello di focalizzazione precedente, e questo produce uno sforzo che toglie tempo al processo in corso ed energie alla persona che lo sta compiendo. Come si crea il contesto ideale per ragionare indisturbati sui propri progetti, per sognare ad arte? Si dovrebbe definire a priori un tempo “dedicato” nel quale si ha cura di evitare in ogni modo possibile piccole o grandi interferenze. Per un’ora, un pomeriggio o anche solo 20 minuti si chiede la collaborazione di familiari e amici affinché lo spazio/tempo della sessione di lavoro sia protetto; si rimandano micro e macroimpegni, si spegne il televisore e, soprattutto, il cellulare. Non è sufficiente non rispondere al telefono, la mente immediatamente si interrogherà sul mittente e sul motivo della chiamata con inevitabili interruzioni nello stato di concentrazione e flusso.
Si pensa erroneamente che i veri creativi (pensatori, artisti, scienziati…) siano solo quelli che hanno intuizioni improvvise, slanci di capacità immaginativa e fantasia che possono prodursi nei momenti e luoghi più impensati. In realtà il mito del “genio e sregolatezza” si rivela spesso un luogo comune, e come tale va trattato. Di fatto ci sono scrittori, musicisti, artisti – che hanno raggiunto con le proprie opere fama internazionale – che svolgono il proprio lavoro creativo in modo strutturato, con orari, rituali e programmi ben definiti. Disciplina nell’impegno e struttura nell’azione aiutano a concretizzare i sogni più audaci, anche se nell’immaginario collettivo il genio rimane colui che in preda al proprio furore creativo scambia il giorno per la notte, non mangia, non dorme, a volte beve… E’ vero che intuizioni e ispirazioni possono giungere inaspettatamente mentre si pensa ad altro, e bisogna essere prontissimi a coglierle al volo per non disperderle, ma è altrettanto vero che per traghettarle dallo stato di “possibilità” a quello di “realtà” occorre allo stesso tempo organizzazione e talento, sensibilità e approccio razionale.
Le prossime settimane di festa, per chi ha possibilità di ritagliarsi anche solo un momento di raccoglimento, possono essere l’occasione giusta per trasformare fantasia e fantasticheria (tipiche di questo periodo) in un vero sogno creativo. Per portare gli “inevitabili” buoni propositi di fine anno, che raramente vincono la sfida del tempo e delle abitudini consolidate, su un altro piano. Quello della comprensione e accettazione dei propri doni e talenti, svincolati dal peso delle proiezioni altrui o delle auto-limitazioni interiori. Quel piano dove lo spirito creativo è finalmente libero di esprimersi e volare.
Come fanno per strada i palloncini di K – Exit Enter… Tracce di pura poesia.
💙 Alba
🌟👏Questo post mi piace moltissimo perché ci sono molti spunti utili e interessanti!!!!
Grazie Federica! Sei sempre gentilissima e… il tema del sogno creativo mi sta molto a cuore. Nel nuovo anno faremo moltissimi approfondimenti su come tradurre il sogno in azione creativa nella vita quotidiana…
Alba