Quando usiamo parole appropriate per esprimere i nostri sentimenti e rendere più comprensibili agli altri le necessità, i valori o i desideri che ci guidano, le qualità della nostra vita e della nostra comunicazione migliorano all’istante. Essere precisi nella scelta delle parole ci permette di portare le relazioni con gli altri, e con noi stessi, a una profondità e intensità maggiori.
Il linguaggio si sta semplificando enormemente, sotto la spinta della velocità imposta dalle nuove tecnologie e dallo stile dei social più usati. Questa, di per sé, non è una tendenza negativa o positiva in assoluto: dipende dall’uso che ne facciamo, di questa semplificazione, e dai contesti in cui la esercitiamo. In una logica di Slow Living il prendersi del tempo per comunicare qualcosa con calma ci libera dal pericolo di essere fraintesi, incompresi o giudicati inopportunamente. A quanti di noi è successo di non capire o di non essere capiti dopo aver comunicato quasi solo tramite emoticon? Sono deliziose quelle faccine che permettono di condividere in una frazione di secondo sorrisi o disappunto; nell’epoca del multitasking sono uno strumento efficace, ma quando vengono utilizzate indiscriminatamente – sul lavoro come nella vita personale – qualche difficoltà può sorgere.
Uno degli insegnamenti più interessanti proposti da Prima Comunicazione – un Metodo educativo di comunicazione e ascolto ispirato alla Comunicazione Non Violenta di Rosenberg – è l’invito a utilizzare nei nostri dialoghi quante più sfumature possibili fra quelle presenti nella nostra lingua, estremamente ricca per natura. Una maggiore attenzione per le sfumature, per la parola adatta nel contesto adatto, comporta un duplice vantaggio: in primo luogo obbliga noi stessi a entrare più profondamente nel merito di ciò che stiamo provando, a essere più precisi sullo stato d’animo presente al momento. E di conseguenza induce a comunicare con gli altri in modo più efficace. Come avviene questo secondo passaggio? Le parole hanno un grande potere, evocativo e creativo, del quale non sempre siamo consapevoli. Quando mi concedo il tempo necessario per capire che cosa si muove dentro di me e cerco il termine adeguato per esprimerlo (anche solo a livello di dialogo interiore), il beneficio è immediato.
In un esercizio proposto durante un corso sulla “Relazione empatica” ci è stato chiesto di andare oltre le asserzioni che utilizziamo di consueto (mi sento bene… sto male…) in risposta a una domanda o a un evento esterno. E ci è stato suggerito di trovare quei termini più appropriati in grado di far capire esattamente come ci sentiamo. Per fare un esempio concreto… se un mio bisogno viene soddisfatto pienamente e in risposta affermo semplicemente che questo mi fa sentire bene, non raggiungo la stessa intensità ed efficacia che posso esprimere dicendo: mi sento alleggerita… compresa… confortata oppure distesa, energica, riconoscente… Ciascuno di questi termini indica una realtà dei fatti più puntuale; ciascuna di queste parole crea un’associazione immediata con un sentimento e una necessità differente… il bisogno/piacere di essere accettati, sollevati, capiti… Porre l’attenzione su un aspetto, piuttosto che un altro, informa esattamente l’interlocutore sulle mie priorità, sui miei valori e bisogni e, in risposta, lo induce a fare altrettanto.
Le parole, e i pensieri da cui nascono, creano mondi. Se potessimo “vedere” all’istante come le nostre parole incidono (a volte letteralmente) sulla realtà nostra, e delle persone che ci circondano, forse porremmo più attenzione al loro uso. Le parole sono finestre oppure muri, scriveva Rosenberg. Separano e uniscono, sostengono e abbattono… e danno il meglio in un’atmosfera di ascolto reciproco profondo. Riscoprire le tonalità intermedie fra il bianco e il nero, gli intervalli più brevi fra le note o le sfumature sottili fra i diversi stati d’animo – come fanno pittori, poeti e musicisti – può arricchire molto anche la nostra vita quotidiana, nelle piccole cose.
In casa, come in questo sito/blog, cerco sempre di trovare una connessione fra il mondo dell’arte e il mio quotidiano e così, a proposito della riflessione di oggi sul potere evocativo del linguaggio e delle parole, vorrei segnalare un’artista che mi ha colpito molto in occasione dell’ultima Arte Fiera, conclusa pochi giorni fa a Bologna. In questa Edizione si sono viste tante proposte di artisti che usano la parola e i libri come soggetto o mezzo espressivo; fra le opere di questo genere presenti, quelle che più mi hanno ispirato sono di Sabrina Mezzaqui, un’artista bolognese che crea installazioni sorprendenti con carta, libri e parole. Intere pagine di saggi, romanzi e letteratura sacra (dal Corano alla Bibbia, dalla Yourcenar a Calvino…) vengono riprodotte a mano, oppure tagliate, sezionate e portate a semplici unità di parole o frasi. Le parole vengono poi ricomposte – con ago, filo, colle o complessi origami – fino a creare nuovi pensieri che si affiancano a quelli dei testi da lei amati. Il suo senso dell’ordine e la ricerca/piacere dell’equilibrio trasformano questi suoi collage di parole in forme poetiche che catturano (insieme) cuore e mente. Molte delle sue installazioni sono create a più mani, sono frutto di laboratori condotti in varie istituzioni culturali e gallerie italiane.
Nel sito di Sabrina Mezzaqui, della Galleria Continua e della Galleria Massimo Minini che la rappresentano, foto e video ci permettono di entrare in questo mondo di parole, dove la connessione fra oriente e occidente diventa arte.
Da vedere.
💙 Alba
Bella la riflessione sulla scelta delle parole!!!L’interessante Artista Sabrina Mezzaqui che ricompone con ago e filo nuovi pensieri!