Bello e buono, dal punto di vista etimologico, sono strettamente connessi: il termine bello attraverso vari passaggi proviene dall’originario latino benulus. Anche nell’universo ideale di Platone il bello, il vero e il bene coincidono e se nel mondo antico il concetto di bellezza era indissolubilmente legato a quello di armonia, accordo, simmetria, equilibrio e proporzione, nei secoli successivi i parametri nella definizione della bellezza sono mutati più e più volte. Fino ad oggi.
Dalle ricerche svolte nel campo delle neuroscienze, e in particolare della neuroestetica, emergono infatti indicazioni precise sull’esistenza di un alto grado di oggettività nella percezione del bello. Attraverso la Risonanza Magnetica Funzionale si è potuto capire quali parti del cervello si attivano in presenza di immagini belle, spiacevoli o sublimi. Che siano tratte dalla natura o dal patrimonio artistico di tutti i tempi, poco importa: ci si è resi conto che per ciascuna di queste categorie (bello, spiacevole e sublime) si attivano in ogni persona le medesime aree cerebrali. Anche immagini che suscitano indifferenza interessano generalmente la medesima area cerebrale in persone diverse. Possiamo concludere allora che al di là dei gusti personali, e indipendentemente dall’età o dalla cultura di provenienza, riconosciamo “fisicamente” la bellezza, ovunque essa si manifesti? E’ molto probabile.
Molto interessante in questo senso si è rivelato un esperimento condotto dal neuroscienziato Giacomo Rizzolatti e dalla sua equipe nel 2007 presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma: sono state mostrate a giovani (non particolarmente esperti nel campo dell’arte) alcune immagini di opere provenienti dal mondo classico. Tutti i partecipanti hanno registrato l’attivazione delle stesse aree del cervello in presenza di opere create secondo i canoni della sezione aurea, così come tutti hanno attivato aree differenti nel momento in cui hanno guardato le stesse immagini dopo che erano state manipolate, allungate e rese di dimensioni e proporzioni diverse rispetto all’originale. Dunque possiamo ricavarne l’idea che il nostro cervello “reagisce” in modo oggettivo a ciò che è costruito (dall’uomo o dalla natura) secondo certe proporzioni e regole.
E non reagisce esclusivamente dal punto cognitivo nel momento della visione, ma provoca per imitazione sentimenti, emozioni e azioni congruenti con ciò che è stato osservato. Gabriella Bartoli, docente di psicologia all’Università degli Studi di Roma Tre e autrice di pregevolissimi saggi sulla psicologia della creatività e dell’esperienza estetica, racconta di un altro esperimento di rilevante interesse – condotto da collaboratori di Metzger – che ha coinvolto per un intero anno scolastico tre classi di una scuola elementare tedesca. Per comprendere il grado di influenza delle immagini sull’apprendimento dei bambini, in una delle aule sono stati apposti alle pareti disegni infantili, semplici nel tratto e approssimativi per quanto riguarda la riproduzione della realtà; nella seconda aula nessuna raffigurazione è stata collocata alla vista dei bambini, mentre nell’ultima sono state utilizzate in grande numero riproduzioni di capolavori dell’arte di tutti i tempi. Analizzando gli elaborati e i disegni prodotti dalle tre classi lungo tutto l’anno scolastico si è potuta vedere chiaramente un’enorme differenza nelle abilità e nelle competenze acquisite fra i bambini delle diverse aule. Chi ha lavorato per tutto il periodo alla presenza costante e ripetuta delle opere d’arte ha manifestato una decisa e maggiore maturità e capacità nella progressiva definizione delle forme e nell’uso del colore, a differenza degli altri due gruppi. In particolare il gruppo che aveva alle pareti solo immagini dal tratto infantile è quello che ha registrato meno progressi nel disegno.
Possiamo desumere da queste ricerche che tutto ciò che occupa il nostro orizzonte visivo, tutto ciò con cui stiamo ripetutamente in contatto, ha un grande impatto sulla qualità della nostra vita. Per questo continuo a sottolineare nei miei scritti e nelle mie attività di consulenza l’importanza dello scegliere bene di cosa circondarci nel momento in cui allestiamo le nostre case, gli spazi in cui soggiorniamo a lungo. Ogni immagine, quadro, foto e scultura… possiede una forza che solo in parte riusciamo a cogliere.
Quando guardiamo i famosi tagli di Fontana, sostengono i neuroscienziati, il nostro cervello grazie alla presenza dei neuroni specchio si attiva anche nell’area motoria, come se il nostro corpo sentisse il desiderio di compiere il medesimo atto e si immedesimasse in quello dell’artista che ha inciso la tela. Quando vediamo opere pittoriche in cui le pennellate sono evidenti, riconoscibili, immediatamente in noi si compiono (nella mente) gli stessi gesti. E quando le raffigurazioni sono facilmente interpretabili e realistiche, sempre grazie ai neuroni specchio, entriamo in perfetta sintonia con la “storia” rappresentata. Per questo ci emozioniamo così tanto di fronte a certe opere d’arte o a certe immagini fotografiche.
Non solo le proporzioni, l’armonia, i colori e le forme hanno influenza sul nostro benessere; anche il simbolismo e i pensieri – nei secoli tradotti nelle opere e nelle immagini secondo criteri stilistici diversi – possono condizionare notevolmente i nostri stati d’animo e le nostre emozioni. Esserne consapevoli ci aiuta ad essere più prudenti e attenti a scegliere solo ciò che procura benessere, soltanto ciò che per rispecchiamento sollecita azioni e pensieri positivi. Non ci sono regole precostituite, e neppure valide per tutti. Ciascuno di noi dovrebbe essere cosciente di quali immagini si è circondato, dovrebbe imparare a valutarne gli effetti su di sé e iniziare un viaggio di esplorazione e scoperta… dagli esiti sorprendenti.
💙 Alba