A e P amano moltissimo esplorare il mondo e sono particolarmente attratti da mete insolite, decisamente poco turistiche. Ovunque scelgano di andare, si preparano mesi prima con guide e ricerche accurate, sulla cultura del luogo e sulle caratteristiche delle popolazioni che incontreranno; poi però, arrivati a destinazione, si lasciano ispirare dal posto e lì decidono giorno per giorno dove alloggiare, cosa mangiare… I loro racconti sono avvincenti quanto le avventure che affrontano, dalla merenda alla tavola di sconosciuti incontrati per caso, all’adattamento alle abitudini alimentari di paesi molto lontani, o ancora l’incontro con sciamani e riti piuttosto singolari, in luoghi esotici poco frequentati.
Entrambi conservano un’attitudine innata a entrare in contatto profondo con lo spirito dei luoghi e delle persone che li abitano. Quando alcuni anni fa sono entrati in possesso di un antico casale scoperto dal figlio fra i pendii meno conosciuti dell’Appennino romagnolo, hanno immediatamente attivato la stessa modalità di approccio. Una volta terminati gli adempimenti per l’acquisto dell’immobile, hanno cominciato insieme ai figli a riportare alla luce questa struttura che pareva abbandonata e addormentata sotto un fitto strato di vegetazione che la ricopriva. La natura qui è la principale protagonista, molto attiva, e togliendo uno ad uno rampicanti e rovi sono “sbocciati” due ovili attigui alla casa, prima oscurati alla vista.
Sebbene fosse quasi sul punto di crollare, il casale di cui raccontiamo oggi la storia è sottoposto alla tutela della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Naturalistici della Regione. In fase di ristrutturazione questo ha significato non pochi vincoli dal punto di vista operativo, ma anche l’opportunità di preservarne al meglio le originarie caratteristiche; una volta accertati i limiti di azione, è iniziata la fase più eccitante e impegnativa di progettazione e ricerca delle maestranze adatte e qualificate a occuparsi di questo tipo di struttura. Siamo in presenza di un edificio del XVII secolo, in sasso, con pareti esterne in origine parzialmente intonacate, pavimenti in pietra, vani di dimensioni variabili e con pareti divisorie in sasso di spessore notevole. Un portone antico d’ingresso, ora in restauro, un camino alto quasi 6 metri che necessita di interventi strutturali per poter funzionare al meglio e una grande abbondanza di legni e pietre da riutilizzare in vari modi, costituiscono ulteriori elementi a favore di un progetto di recupero che sta procurando grande soddisfazione ai proprietari innamorati dello spirito di questo luogo. Dal punto di vista creativo questo progetto si presentava come una bella e grande sfida, che i protagonisti di questa storia hanno colto al volo. Esattamente come fanno per i loro viaggi, hanno cominciato a interessarsi della personalità dell’edificio, dei suoi abitanti, delle sue storie.
Il fine settimana scorso, con la complicità di un picnic organizzato quassù in giardino all’ombra dei melograni, ho potuto respirare per ore l’atmosfera magica che P e A sono riusciti a infondere in questa avventura. Occupandomi regolarmente di cantieri in cui sono abbastanza frequenti le difficoltà e le tensioni fra artigiani e proprietari, sentire il racconto di questo progetto in cui le persone sembrano perfettamente combinarsi fra loro e dare il meglio del proprio sapere mi ha dato molta gioia. Nel progetto hanno scelto di lasciare alla luce naturale e ai dislivelli il compito di definire gli spazi e creare suggestioni visive di grande impatto. Ogni finestra e ogni portone è un quadro, con la natura della valle come protagonista. Strategici tagli nei muri interni hanno creato ambienti in grado di accogliere le esigenze di questa grande famiglia, il riutilizzo di materiali già esistenti ha fatto sì che tutto sembri esattamente come era secoli fa. La grande competenza di A. dal punto di vista tecnico ha permesso una minuziosa e attenta valutazione delle soluzioni progettuali, al fine di porre in sicurezza l’edificio, garantirne la funzionalità, nel rigoroso rispetto dell’ambiente.
E’ una casa dove il progresso sarà totalmente invisibile agli occhi, mentre l’essenza della sua storia si respirerà in ogni stanza.
Le fonti locali, conservate nella biblioteca comunale, narrano che la proprietaria di questo casale fu la donna più amata da Gabriele d’Annunzio. Ma non è dalla presenza di personaggi illustri che proviene l’atmosfera che si coglie qui; piuttosto da una tradizione – anch’essa documentata dagli archivi – di compartecipazione dei residenti nella valle agli eventi della vita della piccola comunità. C’è qui una consuetudine alla condivisione, degli spazi e del tempo, che in città abbiamo perso. Per onorare queste tradizioni con cui si sentono perfettamente in sintonia, P e A usano spesso riunire nel cortile del casale tutti i familiari, gli abitanti del posto e gli amici esattamente come si faceva una volta. Non importa che il cantiere non sia concluso, e neanche che non ci siano abbastanza sedie per tutti. Le travi ancora presenti in cortile andranno benissimo per sedersi tutti assieme attorno al fuoco.
Che dire di questo loro viaggio di esplorazione, questa volta a pochi chilometri da casa? La risposta è nell’espressione dei loro occhi: quando raccontano come hanno scelto ogni pietra, come stanno studiando con una gioia inaspettata ogni piccolo dettaglio, si illuminano come bambini in attesa che la festa abbia inizio. Con un’energia talmente intensa che mi porta a pensare che forse sia proprio questo, il loro viaggio più bello.
💙 Alba