Dopo 24 serie di E’ solo per altre due settimane… forse è giunto il momento di provare a scrivere un’altra storia. Di cominciare a pensare un presente, e soprattutto un futuro, non sotto scacco permanente di una situazione esterna sulla quale abbiamo al momento pochissime possibilità di intervento. Non è la sede questa per parlare di politica, sanitaria e non, dato che non ho competenza alcuna in merito e ancor meno ho voglia di farlo o fiducia che serva a qualcosa. Quello che mi preme, invece, è condividere alcune strategie di allontanamento progressivo da questo scenario totalmente frustrante e negativo, per cominciare a immaginare un modo nuovo di stare al mondo. In questo mondo, non in una fantasia remota o su un’altra dimensione, ma proprio qui e in questo periodo così particolare e unico nella storia dell’umanità.
Grazie alle letture, alle riletture e alle prove sul campo fatte in questi ultimi 12 mesi, ho individuato 5 strategie per cominciare a ridurre il contagio emotivo, la perdita di speranza e la frustrazione che derivano dal vedere come procede la nuova “normalità” e come viene gestita da chi ci guida. Direi che al momento stanno funzionando e sono molto felice di illustrarle. Ecco in sintesi le azioni e i nuovi atteggiamenti che sto sperimentando con soddisfazione:
- Sto costruendo e coltivando la mia nuova vita lavorativa con gentilezza ed empatia.
- Sto passando dai ricordi del passato (belli o brutti che siano) alla costante e quotidiana costruzione immaginativa e reale di ricordi del futuro.
- Sto improvvisando di più (sul lavoro, con i miei cari, in cucina…) e stemperando il bisogno di controllare tutto.
- Sto creando un nuovo modo di vestirmi, nuove routine giornaliere e nuove abitudini alimentari.
- Sto usando l’arte (mia e altrui), la musica, il colore e le parole per raggiungere equilibrio, euritmia e consonanza.
Proviamo ora a entrare un po’ più nel dettaglio.
Le ricerche dimostrano che quando attingiamo a emozioni positive come la gentilezza e l’empatia, che peraltro sono dentro di noi fin dalla nascita, tendiamo a rilasciare un particolare neuropeptide (chiamato ossitocina), che spegne naturalmente i recettori nell’amigdala, la parte del cervello che genera ansia e paura. Quando eliminiamo queste due emozioni, ci sentiamo infinitamente più fiduciosi, propensi al perdono e aperti all’amore. Passiamo dall’egoismo all’altruismo.
Così scrive il Dr. Joe Dispenza nel suo testo Placebo Effect del 2014 e sa solo il cielo di quanto altruismo abbia bisogno oggi non solo il nostro gruppo ristretto di familiari e amici, ma anche il nostro paese e tutto il mondo. Se dovessimo creare oggi una nuova scuola di sana pianta, il primo ambito disciplinare da introdurre dovrebbe essere proprio questo: la comprensione di quanto l’altruismo e l’empatia siano i presupposti principali su cui fondare società veramente evolute. Abbiamo avuto dall’inizio dello scorso anno la prova tangibile e inconfutabile della potenza, anche distruttiva, dell’interconnessione fra menti e corpi, ambienti, stati… Siamo tutti collegati e, con una lezione di quelle che non si scordano, forse l’abbiamo finalmente capito. Il contagio emotivo (oltre che fisico) non funziona solo in una direzione, solitamente verso la più negativa: può avere effetti incredibili anche nel senso opposto. Quello che possiamo cercare di fare oggi, partendo dal nostro quotidiano, è cominciare nella nostra cerchia di conoscenze a produrre piccoli contagi emotivi di carattere positivo, grazie alla gentilezza e all’empatia.
Non si tratta certo di negare l’evidenza, di rimuovere artificiosamente dalla vita e dalla vista tutto ciò che disturba, quanto di ridurre progressivamente il tempo e l’intensità della frequentazione di persone, programmi, informazioni e situazioni votate al lamento sterile, alla critica e alla distruttività a favore della creazione di pensieri e azioni che non c’entrano nulla con tutto ciò che è successo fino a ieri. Se vogliamo creare qualcosa di nuovo, nella nostra vita personale o in quella professionale, non possiamo farlo adottando vecchi atteggiamenti che ci hanno portato singolarmente e collettivamente al punto in cui siamo oggi. Possiamo e dobbiamo osare fare qualcosa di diverso. E’ uno spostamento volontario di pensiero e movimento creativo, che nutre gentilmente tutte le emozioni legate al sogno, alla speranza, al piacere e al desiderio di costruire qualcosa che prima non c’era. Si può fare, non è così difficile come sembra. Possiamo coltivare una piccola idea per il futuro, un’amicizia, un bulbo di tulipano, un progetto. Unico requisito richiesto è un atteggiamento interiore di disponibilità a sperimentare qualcosa di diverso con costanza e gioia, con gentilezza verso noi stessi e gli altri, senza più farsi frenare da ciò che succede fuori o da limiti autoimposti.
E se fosse possibile cominciare a vivere in uno scenario diverso non solo usando di tanto in tanto l’immaginazione, ma anche condizionando ogni giorno consapevolmente il nostro cervello e il nostro corpo a percepirlo come orizzonte vivo e reale già all’opera? Tutti gli studi compiuti negli ultimi 20 anni nel campo delle neuroscienze dimostrano inequivocabilmente che il cervello umano non sa distinguere la differenza fra un’esperienza solo immaginata o vissuta nella realtà. Il prematuramente scomparso, famosissimo e insuperabile pilota di Formula 1 Ayrton Senna, già più di 21 anni fa utilizzava per la sua routine di allenamento la tecnica della visualizzazione della guida nel percorso di gara, studiava per ore ogni singolo dettaglio della pista per prepararsi alle competizioni. Non solo le immaginava e le vedeva nella mente, ma il suo corpo rispondeva proprio come se stesse guidando la sua auto nel circuito: durante queste pratiche le analisi di pressione arteriosa, frequenza cardiaca, reazioni ormonali… confermavano il fatto che il corpo (cuore, organi, surrenali, sistema cardiocircolatorio ed endocrino…) stesse realmente “vivendo” la situazione solo immaginata. Da allora le tecniche di ricerca e analisi di questo fenomeno fisico si sono evolute enormemente ed oggi la pratica della visualizzazione creativa non viene più solo usata per migliorare performance sportive o artistiche (molti musicisti e ballerini se ne servono), ma è utilizzata con successo anche in ambito medico e in molte delle nuove procedure di cura e sostegno psicologico.
Perché allora, tornando a noi, non cominciamo ad insegnare al nostro corpo a vivere in una nuova realtà più positiva, anche se non ancora presente là fuori? Sarebbe un ottimo modo di impiegare quel tempo che ci separa dal termine di una situazione così tremenda come l’attuale ma destinata, prima o poi, a finire. Possiamo stare in questo lasso di tempo, il prima o poi, continuando a lamentarci o a farci terrorizzare; oppure possiamo usarlo per prepararci fisicamente ed emotivamente ad un sistema di vita e valori tutto nuovo. Perché non abituarci a “sentire” già tutte le emozioni legate al raggiungimento di questi obiettivi? Perché non riempire il nostro quotidiano di speranza vibrante, di visioni edificanti, di progetti che solo a pensarli inondano il nostro corpo con cascate ormonali benefiche? Perché non cominciare subito a costruire ricordi di un futuro che può essere molto meglio di tutto quanto vissuto fino ad oggi?
Abbiamo bisogno del “nuovo” in tutte le sue manifestazioni, da come ci vestiamo a quello che mangiamo. In politica, sul lavoro, nella programmazione di viaggi e frequentazioni culturali. Abbiamo bisogno di inventarci nuove routine quotidiane, modi diversi di comunicare, di esprimere la nostra impronta unica e irripetibile, di arredare casa, di parlare… Abbiamo bisogno di introdurre nelle nostre vite elementi di rottura rispetto a quel passato che ci ha condotti qui; sappiamo fare molto meglio di così, in tutti i campi. Sto cercando anche di improvvisare di più, nella mia vita di ogni giorno. Dalle cose semplici, come la cucina, a quelle più complesse come l’educazione di mio figlio. Cercare di controllare tutto e di pianificare il mondo non funziona più; così come non regge più il confronto continuo con gli altri o la ricerca della perfezione durante i processi creativi. Diceva Audrey Hepburn: Mi è stato chiesto di recitare quando non ero in grado; mi è stato chiesto di cantare in Cenerentola a Parigi ma non sapevo cantare, di ballare con Fred Astaire, ma non sapevo ballare… non mi restava che imparare ad affrontare i risultati. Non sono mai diventata un’attrice: quando la gente mi chiede come ho fatto la mia unica risposta è: Non lo so! Arrivavo sul set dopo aver imparato le battute e quello era il mio punto di partenza… Per tutta la vita mi sono trovata in situazioni in cui non padroneggiavo la tecnica, ma se ti senti in grado, riesci a cavartela comunque. Tratto da: How to be lovely di Melissa Hellstern 2004
Rimane un ultimo punto molto importante che affronterò nel prossimo post perché merita un approfondimento specifico: l’uso dell’arte, di parole e musiche particolari come strumento per raggiungere equilibrio e connessione armonica dentro e fuori di noi. C’è un mondo nuovo là fuori che ci aspetta, un mondo in cui consonanza e armonia in ogni aspetto della vita potrebbero fare una grande differenza. E se cominciassimo a crearne il ricordo proprio oggi?
💙💙💙
Alba